LA CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA
ART. 1456 CODICE CIVILE
Clausola risolutiva espressa
"I contraenti
possono convenire espressamente che il contratto si risolva
nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo
le modalità stabilite.
In questo caso la risoluzione si verifica di diritto quando la
parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola".
NATURA DELLA CLAUSOLA
Di recente, il Tribunale di Milano (1.) ha avuto modo di precisare che la clausola risolutiva espressa (da non confondersi con la condizione risolutiva ex art. 1353 c.c. N.d.R.) costituisce, dal punto di vista generale, una deroga alle regole in tema di risoluzione per inadempimento, consentendo di superare il limite dell’inadempimento di particolare gravità e di non scarsa rilevanza, avuto riguardo all’interesse della parte non inadempiente, la cui operatività consente di porre termine al rapporto con effetto immediato in caso di inadempimento anche di una sola delle obbligazioni ivi indicate, prescindendo dalla gravità dell’inadempimento, la quale si presume per il solo fatto dell’inserimento della obbligazione nella clausola. Tale prescrizione, pertanto, non rientra tra le clausole vessatorie e, conseguentemente, non necessita di essere posta in doppia sottoscrizione al fine di garantirne la validità, anche perché l’elenco delle clausole vessatorie, di cui all’art. 1341, comma secondo, c.c., ha carattere tassativo e, di conseguenza, la norma non è suscettibile di applicazione analogica, ma solo di interpretazione estensiva all’interno dei tipi di clausole dalla stessa già indicate.
Di regola, la clausola risolutiva formerà parte dello stesso contratto, ma altre volte può essere stabilita con un atto autonomo, che dovrà rivestire la stessa forma del contratto a cui si riferisce.
Le parti devono specificare quale o quali sono le obbligazioni che devono essere adempiute, pena la risoluzione.
Per ultima Cassazione (2.) la stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non deve essere valutata dal giudice.
Se l’indicazione invece è generica o addirittura il riferimento è al complesso delle pattuizioni, la clausola non avrà alcun valore in quanto di mero stile.
Infatti, per la S.C. (3.), è priva di efficacia in quanto «di stile» la clausola risolutiva espressa redatta in termini generici, ossia non già con riferimento a specifiche inadempienze ma alla violazione di uno qualsiasi dei patti contrattuali, poiché simile clausola nulla aggiunge alle norme degli artt. 1453 e 1455 c.c. onde, per pronunciare la risoluzione, il giudice deve accertare la non scarsa importanza dell’inadempimento.
La risoluzione inoltre non è automatica, non consegue cioè de iure al mancato adempimento, ma è necessario che la parte interessata dichiari all’altra che intende avvalersi della clausola.
Difatti, poi, l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1453 c.c., tendendo ad una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, differisce sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui all’art. 1456 c.c., tendente ad una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo (nel caso di specie, mancata stipula del contratto definitivo nel termine convenuto) previsto dalle parti come determinante per la sorte del rapporto. Ne consegue che, ove la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. sia stata proposta per la prima volta in appello, deve considerarsi domanda nuova, e pertanto preclusa a norma dell’art. 345 c.p.c. (4.).
Inoltre, le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e 1457 c.c. (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell’inadempimento dell’altra verificandosi l’effetto risolutivo nella prima, con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini senza che essa abbia dichiarato all’altra di volere l’esecuzione (5.).
Nell’ambito di queste clausole rientrano
A) la condizione risolutiva in senso tecnico (art. 1353 c.c.), con notevoli differenze: la condizione in senso tecnico produce automaticamente (mentre nella clausola c’è bisogno della dichiarazione) i suoi effetti retroattivi reali (mentre nella clausola gli effetti sono obbligatori, quindi limitati solo alle parti) cioé si esplica anche nei confronti dei terzi.
B) la facoltà di recesso unilaterale (art. 1373 c.c.)
C) la risoluzione di un atto di liberalità per inadempimento del modus.
____________________________________________
1. Tribunale Milano, Sezione 11 civile, sentenza 5 dicembre 2012, n. 13625. Nella specie, in ogni caso, la clausola risolutiva espressa deve ritenersi senz’altro efficace, sussistendo la specifica sottoscrizione ex art. 1341, comma secondo, c.c., con conseguente legittimità della intimata risoluzione contrattuale alla luce del constatato inadempimento
2. Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 20 dicembre 2012, n. 23624
3. Corte di Cassazione, sentenza 12-11-81, n. 5990
4. Corte di Cassazione, sentenza 423 del 12-1-2007
5. Corte di Cassazione, sentenza 3-7-2000, n. 8881, (conf. Corte di Cassazione, sentenza 26-11-94, n. 10102).
Si ringrazia, per la gentile concessione dell'articolo, lo STUDIO LEGALE D'ISA
______________________________________________________
CONSULTAZIONE RAPIDA
P Rispetta l'ambiente: se non ti è necessario, non stampare questa pagina.
Nei contratti di locazione una clausola risolutiva di mero stile, sovente usata, è la seguente: "Tutte le clausole del presente contratto sono correlate ed inscindibili per cui la violazione anche di una sola di esse comporterà, ipso jure, la risoluzione del contratto stesso".
RispondiEliminaUna clausola alternativa, di maggiore efficacia, potrebbe essere la seguente: "Le seguenti clausole, contenute nel presente contratto sono correlate ed inscindibili, per cui, la violazione anche di una sola di esse comporterà, ipso jure, la risoluzione immediata del contratto stesso per fatto e colpa del conduttore ed il conseguente risarcimento dei danni, oltre alla corresponsione di quanto dovuto, ai sensi degli artt.1456 e 1457 del C.C.:.................."
Gentile infocentocase.blogspot.it
RispondiEliminaNel mio contratto d'affitto la proprietaria ha inserito una clausola risolutiva espressa (senza definirla tale, il titolo è semplicemente "Articolo 8 (risoluzione e prelazione)") in cui dispone che una volta conclusa la vendita della casa abbiamo 2 mesi di tempo per andarcene.
Cosa comporta l'inadempimento di una clausola non conforme alla legge 431 del 1998?
La clausola risolutiva espressa vale oppure visto che si basa su una clausola vessatoria (che è la stessa poi) non è valida o non può essere considerata come tale?
Grazie.
Giada
Gent.ma sig.ra Giada, purtroppo per dare un consiglio corretto sarebbe fondamentale visionare nel dettaglio tutta la documentazione. La clausola risolutiva espressa, di per sé, non è in contrasto con la normativa contenuta nella Legge 431/98 e la sua apposizione all'interno di un contratto di locazione sottoscritto tra due privati non richiede la doppia firma ai sensi deglia art.li 1341 e 1342 c.c. Ci tengo comunque ancora a sottolineare che una risposta su un quesito fondato chiaramente su un documento scritto necessiterebbe di una disamina, appunto, del contratto in questione.
Elimina